venerdì 1 aprile
Firenze centro
ore 22:15 circa
Io e l’amico Bercio varchiamo la soglia di un noto locale della zona, di cui siamo clienti abituali, con un ghigno satanico dipinto in volto. Dietro il banco ci attende il barman Cecco, al suo ultimo weekend di lavoro, che ci accoglie con un espressione carica di altrettanto luciferina soddisfazione.
Il locale si sta riempiendo, come consueto, oltre ai soliti habitué, della classica quota di turisti e studenti stranieri, in prevalenza americani e inglesi. In fondo, sul piccolo palco allestito per la musica live, D.M. sta barbonamente approntando ciarpame per il suo classico unplugged gradevole quanto un chiodo rugginoso piantato nel glande.
D.M., ove D. sta per un nome angloamericano e M. per un cognome italoterrone, è un obeso lercione del Massachussets in infradito che vive da diversi anni a Firenze, sbarcando il lunario con pezzenti unplugged di cover, in attesa di diventare una star.
Il grasso ominide, riunendo in sé la dabbenaggine americana e la cazzimma terronide, è uso tentare costantemente di fottere il prossimo ma, essendo stupido come un tacchino down, finisce regolarmente col far scoprire i propri malaffari.
Per carità , non si parla di roba grave e delinquenziale, ma di atti meschini e miserabili tipo la maldicenza volta a rovinarti la piazza con qualche donna o rubarti la birra dando la colpa a qualcun altro. Il tutto corredato da un’eccessiva e ostentata cordialità , con sorrisi, strette di mano, abbracci, pacche sulle spalle e un grande spreco di bro.
Fu così che questo soggetto da schiaffi sul cazzo, ottenne il prevedibile risultato di restare sulle palle un po’ a tutti quanti abbiano avuto modo di conoscerlo, compreso lo staff dei locali, i clienti, i negri che vendono carabattole per strada, i bangla con le rose e, ovviamente, noi due.
Anzi, noi tre.
Facciamo due saluti, reclamiamo il nostro posto al banco, ordiniamo due birre e, con lesto movimento da spacciatore magrebino, deponiamo un pacchetto nelle mani del trepidante Cecco.
Trattasi di una preziosissima sostanza fornita di sottobanco da un amico medico, in totale spregio del giuramento di Ippocrate. Una di quelle mirabolanti polverine magiche da cui si ottengono i beveroni che ti fanno tracannare prima di una colonscopia, o rettoscopia o varie ed eventuali. Insomma, un purgante infernale, talmente efficace da svuotarti l’intestino in poco tempo, prima che le sapienti mani del proctologo inizino ad infilarti roba nel culo.
Secondo l’amico medico collaborazionista, che ci ha vivamente sconsigliato il celebre Guttalax a causa del troppo tempo necessario perchè faccia effetto, si tratta di un purgante osmotico. In poche parole richiama una gran quantità di acqua nell’intestino, rendendo la merda molliccia e aumentando contemporaneamente la pressione. Secondo lui, preso in dose massiccia, già in un paio d’ore dovrebbe avere risultati dirompenti.
La somministrazione sarà resa più semplice dal fatto che il lardoso sia solito bere ributtanti cocktail fruttosi talmente dolci che riuscirebbero a coprire persino il sapore di un topo morto.
Cecco si mette all’opera, e parte col primo cocktail, avendo l’accortezza di ingentilirlo con una fettina di ananas e un ombrellino.
ore 23:15 circa
L’unplugged sta per cominciare. Il cicciomerda ha già bevuto due cocktail infarciti di purgante in dosi da cavallo, più quello a mezzo che tiene in mano. Comincia ad avere un’espressione strana. Lo nota anche quella stolta gallina croata della sua ragazza, che gli chiede come sta. Lui finge che sia tutto ok, ostentando un poco credibile benessere.
ore 00:30 circa
Il ciccione sta suonando da circa un’oretta insieme alla sua Pezzenza Big Band. Si vede che qualcosa non va. È irrigidito come un paletto, si muove a malapena, cammina come un papero inculato e suda vistosamente come una mortadella al sole.
Finisce It’s The End Of The World dei REM. Abbassa l’asta del microfono, prende uno sgabello e si siede. Allunga la mano, afferra il bicchiere e dà un lungo sorso all’ennesimo cocktail corretto. Ricomincia a suonare. Sbaglia gli accordi e va fuori tempo. Anche la voce è sempre più fioca.
All’ignaro spettatore potrebbe sembrare solo un po’ di stanchezza o, al massimo, una mezza sbronza, ma noi sappiamo benissimo che sta morendo dentro. Che tutte le sue limitate risorse cognitive sono impegnate nel mantenere il controllo sugli strizzoni. Che nelle sue grasse viscere si sta combattendo una lenta guerra di logoramento tra la molle massa fecale e il suo sfintere. Una guerra che non potrà vincere perchè la pressione interna, coadiuvata dalla fluidità dell’escremento, aumenterà progressivamente fino a trasformarsi in un inarrestabile tsunami di merda che travolgerà ogni minima resistenza del suo ormai impotente buco del culo.
La cameriera si avvicina e depone accanto a lui un altro bicchiere pieno, che l’attento Cecco si è premurato di fargli avere.
ore 00:45 circa
La band sta suonando una terribile versione acustica di Jump dei Van Halen. È evidente a tutti che il lardoso, per qualche motivo, non sia in grado di continuare a suonare. Fa persino più schifo del solito. Anche la band è chiaramente spiazzata.
E finalmente, il pezzo forte!
Sul finale di Jump, accelera le ultime note, lasciando indietro la band, appoggia maldestramente la chitarra a terra, si alza di scatto e fa due impacciati passi verso il bagno lato palco.
Solo due.
Poi si ferma.
Nessuno capisce cosa stia facendo. Si tiene la pancia, fa quasi il gesto di tornare verso lo sgabello. Poi si ferma di nuovo e si siede a terra.
Noi siamo esattamente lì davanti, mollemente seduti su un divanetto con le gambe accavallate, sorbendo un buon Lagavulin e godendoci imperturbabili lo spettacolo da posizione privilegiata, come due sofisticati gentiluomini al teatro.
La sua inetta compagna gli corre incontro preoccupata, si china su di lui e poi fa un balzo indietro. Certamente a causa della puzza.
Gli parla ma lui risponde a monosillabi. Si avvicina anche la band ed è subito evidente a tutti cosa sia successo e che debba andare in bagno, ma lui non si alza.
Non vuole muoversi, perchè ogni minimo movimento del suo corpo comprometterebbe la precaria tenuta della chiusa. Ma non può nemmeno restare lì, seduto sulla sua merda, ad attendere l’inevitabile seconda ondata.
“Alzati D. Devi andare in bagno!”
“Forza, tirati su, non puoi restare lì!”
“D… cazzo! Alzati e vai al cesso!”
“Sì… now… solo uno… momento.”
La sua ragazza si tiene leggermente a distanza, assistendo alla scena, chiaramente più disgustata che preoccupata. Molti si allontanano schifati, altri si avvicinano incuriositi. È simpatico notare come la sua performance cacatoria paia evidentemente riscuotere più successo di quella musicale. Arriva Cecco, irrompendo accanto al palco.
“Ma che cazzo è questo schifo?”
“Eh… D. sta male.”
“MA SI È CACATO ADDOSSO?” chiede ad alta voce.
“Sì, cazzo!”
“Ma porcoddio, portatelo in bagno, disgraziati!”
“Ma non si alza.”
“Vedrai sta male e non ce la fa. Tiratelo su voi e portatelo al cesso, no?”
I suoi compari alla fine si decidono. Lo afferrano da sotto le braccia e, incuranti delle sue lamentele, lo alzano di peso.
SBRRRRRRAP! Salta il tappo!
Dal fondo dei suoi bei pinocchietti bianchi, già imbrattati dalla precedente cacata, si vede chiaramente l’oscena massa di pappetta marrone che cola giù lungo i grassi zampetti, fino ad imbrattagli i piedi e i vezzosi infradito, accompagnata da una sinfonia di rumori scoppiettanti e sfiatanti. La puzza è spaventosa e ormai ha evacuato la maggior parte dei presenti in sala. È una puzza acre e quasi acida. Va’ a sapere di che razza di porcherie si nutra quel gonfio suino…
Il ciccione si sta cacando addosso a ciclo continuo. Ogni passo è una scarica. Ogni minimo sforzo è una spremuta di sciolta. Sta lasciando la scia come un immondo Pollicino di merda.
“E muovetevi, cazzo! Mi sta smerdando tutto il pavimento!” urla Cecco.
Loro allungano il passo, scatenando ulteriori lamentele, rantoli, mugolii e, ovviamente, merda. Tanta merda! Ce l’ha anche tra la pianta del piede e la ciabatta.
L’infame Cecco, si avvicina a noi e sussurra sghignazzando “Ho chiuso tutti i bagni a chiave!”.
Soffoco una risata che rischia di farmi scoppiare un’arteria. Non possiamo ridere. La sua ragazza è proprio lì davanti intenta ad assistere al suo cavaliere che semina merda a giro, cagandosi addosso senza sosta o umano ritegno. E questo rende ancora più difficile non ridere.
“N. ma che ha fatto D.? Ha preso qualche brutto virus?” chiede il Bercio.
“Fuck it! Io penso che è colpa di merda di cibo cinese che lui mangiato per cena.”
“Cazzo N., non lo sai che non si deve mai andare dal cinese?”
“Fanculo! Io lo ammazzo!” dice lei stizzita, sedendosi davanti a noi col bicchiere in mano e guardandosi bene dal seguire l’armata Brancaleone della merda!
“Holy shit! I bagni sono tutti occupati!”
“Mica vorrete tenerlo lì a cagarmi per terra, vero?”
“Che cazzo vuoi facciamo?”
Cecco, con signorile gesto da navigato concierge, spalanca l’uscita di sicurezza accanto all’ingresso dei bagni, osservandoli in silenzio con la faccia di chi ha già dato una risposta ovvia.
E, in fondo, cos’è un’uscita di sicurezza se non quel sottile diaframma che separa un uomo imbrattato di merda sciolta che continua a cagarsi addosso dagli impietosi sguardi della movida del venerdì sera?
I buon D., troppo occupato a limitare (invano) la fuoriuscita di merda, per opporre una degna resistenza, viene tragicamente trascinato per strada, e gettato in pasto alla variegata folla.
Schifo collettivo.
Risate.
Smartphones.
ore 1:15 circa
Gli amici, pietosi, per non abbandonarlo alla mercé della folla che già aveva cominciato a sacrificarlo sull’altare della diretta su Facebook, lo hanno trascinato in un vicolo, lì vicino. Un vicolo stretto, buio e piscioso, frequentato prevalentemente da spacciatori africani, ubriaconi collassati e americane sbronze in cerca di uno stupro.
Un muffoso materasso lercio, abbandonato accanto ad un cassonetto, funge da provvidenziale giaciglio per il buon D. che adesso può sguazzare nella sua merda stando sul morbido.
Quando lo raggiungiamo, ha appena finito di cagare l’anima dietro un cassonetto. Probabilmente questo gli garantirà una mezz’oretta di tregua.
Ha merda ovunque. È abominevole a vedersi e ad odorarsi.
“D… ma cazzo! Ma ti pare igienico sdraiarsi su quel troiaio di materasso sudicio?” dico ridacchiando.
“Speriamo che non è schifo!” risponde enigmaticamente lui, ancora devastato nel fisico e nella mente.
Il sipario si chiude sull’arrivo della sua ragazza, con un bicchiere in mano.
“Amore, mi ha detto Cecco di portarti questo. È analcolico col succo di limone. Bevi che ti fa bene per la pancia.”
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25 Commenti
Dio cane, mi sono cagato addosso anche io dal ridere!
Era l’ora, maledetti terroni fancazzisti!
Ritorno col botto.
Son collassato dal ridere, tanto che mi stavo cacando addosso pure io.
Chissà perchè ho l’impressione di conoscerlo quel grassone di merda?
Ciao Laydo, bentornato.
Hai mica visto il Comina?
Dio vipera infame, ce ne avete messo eh!
Ottimo ritorno, mi ha allietato il ritorno in metro ubriaco.
Odio i ciccioni ed i terronidi, sia messo agli atti.
E i ciccioni terronidi?
Sei mesi di pausa per cagare quest’articolo di merda? Ma morite lentamente di cancro anale, voi e quel sudicio cagone. Chi era, Richard Benson?
Il Lagavulin é sempre una buona scelta.
Poco fa, io e un mio amico siamo andati nella chiesa qui vicino, prima della messa, quando ancora non c’era nessuno.
Lui si è masturbato velocemente e ha sborrato nell’acqua santa. Poi abbiamo aspettato che cominciasse la messa.
La gente entrava e si bagnava le dita nell’acqua santa piena della sua sborra, per farsi il segno della croce.
Ad una vecchia addirittura abbiamo visto proprio il filo di sborra dalla sua mano alla fronte.
QUANTE RISATE!
Ciao Laydi, questa l’avevo scritta nei commenti sul vecchio sito e sulla pagina FB sparita, quindi ve lo ricopio a imperitura memoria.
Insomma, esco con gli amici, mi ubriaco come una bestia e, in condizioni davvero critiche, mi avvio verso casa a piedi. A metà strada mi sento malissimo, mi gira le testa, ho già vomitato a più riprese e mi reggo in piedi a malapena. Mi lascio andare su una panchina, con l’intenzione di sedermi per qualche minuto e finisce che crollo collassato.
Vengo svegliato dopo un paio d’ore da un conato.
Mentre cerco di rimettere insieme un briciolo di controllo del mio corpo, avverto un’inconfondibile e umida pienezza nelle mutande.
Bestemmio il Cristo e sua mamma mentre, a pantaloni calati, sperando che non arrivi nessuno, mi tolgo il grosso dalle mutande utilizzando maldestramente un pacchetto vuoto di patatine trovato in terra. E di quelli della Pai e l’operazione, già di per sè ributtante e, è resa ancora più disgustosa dalla trasparenza del sacchetto che mette in bella mostra l’abominio colante che imbratta sia l’interno che l’esterno.
Barcollante, lurido e nauseato, mi pulisco le mani ad un cipressino, mi ritiro su le mutande imbrattate ma non più a rischio esondazione e riparto verso casa.
Se non vi siete mai cacati addosso non potete capire quanto sia atroce la sensazione di camminare con la merda al culo. Ad ogni passo ti senti raggelare da un umido e scivoloso orrore che si allarga come una immonda infezione.
Arrivo a casa a notte fonda, fortunatamente tutti dormono e non incrocio nessuno.
Vado dritto in bagno, mi siedo sulla tazza e scarico quella poca merda che aveva avuto la decenza di fermarsi all’alt del mio culo.
Caco.
Mi prende un altro conato.
Mi vomito sul cazzo cercando di centrare la tazza.
Bestemmio ancora il Cristo infame.
Ricaco.
Rivomito, stavolta nel bidè.
Mi ripendo un po’.
Mi trascino sul bidè e mi lavo.
Mi rialzo barcollando, più o meno pulito.
Vorrei solo collassare a letto, ma sono abbastanza lucido da considerare la questione mutande. Le guardo nel lavandino, completamente imbrattate di merda.
Ovviamente non posso lasciarle lì. Ma nemmeno metterle nel cesto della roba sporca. E neanche buttarle nel secchio della nettezza, così come sono. Forse avrei potuto chiuderle in un sacchetto annodato e poi gettarle nel secchio. Avrei potuto fare tante cose più o meno sensate.
Fatto sta che la cosa più pratica e fattibile che mi è venuta in mente è stata aprire la finestra e gettarle fuori alla cieca.
Poi mi getto a letto e crollo.
Vengo svegliato verso mezzogiorno da mio fratello che se la ride lieto, aprendo la finestra e dicendomi di affacciarmi.
Mi sporgo e mi trovo sotto al naso il condomino del piano terra che invesce contro il Padre Onnipotente, cercando col manico di una scopa di tirare giù dal suo alberello le mie immonde mutande impregnate di merda.
La vecchia del primo piano, affacciata alla finestra gli urla “Sono i segni degli zingheri! Li lasciano gli zingheri per sapere dove rubare! Chiama la Polizia! Vengono gli zingheri!”
Allora laydi, sedetevi e prendete i popcorn perché questa è una storia vera. La scrivo qui perchè non ho più fake su FB e col cazzo che lo scrivo col mio account vero, che lo so che siete delle merde e magari mi sputtanereste.
Piccolissima premessa necessaria: vivo in un paesotto della campagna veneta, la mia famiglia e tutti i nostri parenti e conoscenti sono gente molto all’antica, qua il tempo si è fermato agli anni ’70 per tante cose. Quasi tutto il parentado è gente anziana con l’ossessione della terra e della messa della domenica. Diciamo che io mi sono salvato perché i miei avevano l’osteria del paese e quindi sono stati gente un po’ più “di mondo” rispetto al resto della famiglia, nonché essendo bravo a scuola sono l’unico della dinastia che ha fatto prima il liceo e poi l’università .
Qualche giorno fa ricevo una telefonata dai miei. Penso che sia il solito invito a pranzo che ogni tanto mi propinano, visto che da quando mi sono trasferito a Padova li vedo forse ogni due settimane (nota: i miei continuano a credermi devoto cristiano di sani principi, mentre da molti anni conduco una vita degna del conte Burzum). Mi chiedono sì di andare a pranzo, ma perché devono chiedermi un favore.
Per farla breve, c’è ‘sta lontanissima parente (una quarta o quinta cugina) che sembra aver superato lo scoglio delle scuole superiori e i genitori hanno preso la drastica decisione di farla studiare all’università . Gli dico che siamo a dicembre ed è un po’ tardi per iscriversi, ma insistono che mi spiegheranno tutto perché è complicato. Si tratta in buona misura di dare qualche informazione ai suoi genitori, visto che, anche se non ho contatti diretti con l’università , ho ancora tantissimi amici e colleghi che per un motivo o l’altro la frequentano a livello lavorativo o di studio.
Domenica scorsa quindi vado a conoscere questa tizia e i suoi genitori. Della tipa vi parlo fra poco perché ha bisogno di un’accurata descrizione a parte. Comunque i genitori sono due contadini beceri e bifolchi sulla 50ina, del ramo più chiuso e bigotto della famiglia, che hanno questa figliola che sembra essere il loro vanto e onore, visto che al contrario di altri parenti e cugini (tranne me) ha finito le superiori a giugno. Il loro sogno era che la ragazza si facesse suora, ma parlando con il prete (parlando con il prete, diocan!) è venuto fuori che “è portata per studiare” e dovrebbe provare a fare l’università . Parlando con loro capisco che non hanno la minima idea di cosa sia un’università né di come funzioni, ma sono fermamente convinti che l’opinione del prete sia legge e quindi la giovane Anna (la chiamerò Anna, nome di fantasia) dovrà proseguire gli studi.
Il fatto che stia parlando solo con loro mi fa capire quanta voce in capitolo abbia Anna, nondimeno provo a spiegare loro che è un po’ tardi per l’iscrizione e non tutti gli atenei permettono di iscriversi ad anno inoltrato, che dovranno chiedere in facoltà e comunque ci saranno tasse in più da pagare, e così via.
Per farvi capire la situazione, vi riporto uno stralcio di conversazione:
(io) “Ma la ragazza che scuole ha fatto?”
(padre) “La tosa? l’ha fat… le superiori, l’ha finio sto istà ” [la ragazza? ha fatto le superiori, ha finito quest’estate]
(io) “Sì ma che scuola era? un liceo, un istituto tecnico…”
(padre) “Le superiori po, quee zò a PAESE! Ma la è brava satu, l’ha dita anca ‘l prete!” [che domande: le superiori, quelle giù a PAESE! MA è brava sai, lo ha detto anche il prete]
Durante il pranzo con Anna capisco molte cose. Premetto che la conversazione con lei è continuamente interrotta dai genitori che rispondono al posto suo, che integrano le sue frasi con “sì ma dighe cossa te a dito ‘lprete” [sì, ma digli cosa ti ha detto il prete] e così via, comunque eccone il ritratto.
Comincio subito con lo spegnere gli animi di voi laydi dicendovi che non mi sono trovato davanti la pornostudentessa dei film, che si scioglie i capelli, si toglie gli occhiali e diventa una strafiga. Anna è una tipa normalissima, non troppo carina. Come tutte le tipe dello stesso stampo, avendo una corporatura normale e non essendo obesa, se si vestisse da troia probabilmente vi farebbe venire il cazzo duro, ma abitualmente si veste a livello “prima comunione degli anni ’90” (Gonna lunga a pieghe, scarpe basse, camicia e golfino infeltrito, sguardo basso e voce quasi inesistente: questo è in sintesi il total look della ragazza).
Scopro inoltre che le tanto millantate superiori seguite dal genio di famiglia non sono altro che il CFP gestito dalle suore del paese, a cui la tipa ha fatto seguire il quinto anno da privatista all’istituto salesiano, permettendole così di avere la maturità . Anna vive in un altro mondo, tra la casa dei genitori e la parrocchia.
Non ha un cellulare o un computer, i suoi non le permettono di guardare la televisione se non con loro e non ha amiche della sua età : i suoi svaghi sono andare in parrocchia con le amiche della madre a fare le cagate di volontariato. E’ stata una volta a roma a vedere il papa, in gita con la parrocchia (ovviamente coi genitori). Non ha mantenuto nessuno degli scarsi rapporti con le compagne di scuola, che tra una mezza ammissione e un paio di deduzioni mie, la trattavano come una lebbrosa.
Inutile dire che la tipa è sveglia come un sasso: non ha la minima cognizione del mondo fuori dal suo piccolo giardino segreto (da quando si è diplomata aiuta in ufficio la madre nell’azienda agricola di famiglia, quindi non uscendo mai di casa), e ha grosse difficoltà a seguirmi in ragionamenti anche semplici.
La cosa che spaventa i genitori è che il prete (che è sveglio tanto quanto i genitori sul discorso università ) gli ha consigliato CALDAMENTE di far proseguire la ragazza negli studi, quindi si trovano costretti a scegliere se abbandonare la loro figliola nella grande città (comunque da pendolare, non esiste che dorma fuori) oppure opporsi a un consiglio del prete.
Per darvi un’idea, né la tipa né i genitori hanno neppure idea a quale corso potrebbe iscriversi.
In sostanza, la loro richiesta è se posso ospitarla due giorni a Padova e farle capire come funziona l’università (essendo io parente, nel loro cervello risulto automaticamente privo di cazzo e timorato di dio a sufficienza da poterla tenere d’occhio).
La mia domanda è, cari laydi: siccome ho qualche giorno per pensarci, cosa faccio? cerco pazientemente di far capire loro che è un progetto assurdo e la tipa probabilmente è destinata a graffettare bolle e fatture nella loro azienda fino alla fine dei suoi giorni, oppure approfitto di questo candido fiorellino per violarne la mente? Non pensate a nulla di erotico in realtà , però lo shockare questa verginella timorata di dio con la peccaminosa vita di una persona normale, traviarla sulla via della dissolutezza cittadina e allontanarla brutalmente dal bigotto svantaggio di casa sua è una cosa che mi attrae non poco.
Cosa fareste voi?
When in doubt, Fuck!!!
E non scordare il Roipnol.
Il finale è un tocco di classe. Superlativo.
e insomma c’era questo mio amico napoletano che mi fa uè uè ci sta u computèr co ‘o sfondo nero e poi si spegne allora io vado a vedere il suo computer e c’era questo virus gli ho detto guarda non si può fare niente perché è un virus che si riproduce inesorabile e per farglielo capire gli faccio il gesto del sesso con il dito che entra nelle dita che formano il cerchio poi quindi gli dico la cosa migliore da fare in questi casi è formattare ma lui non capiva allora mi dice uè tengo u’ minimu di conoscenza di computer quello che mi basta è scaricare ‘e canzoni di gianna nannini ca’vvuo dire formentare u picciè allora gli dico che significa cancellare tutto quello che c’è dentro per farlo tornare come nuovo lui mi fa iamme uagliò fammi nu poco de formettazione intanto ci pigliamo u caffè napulitano ‘o faccio io allora metto a formattare e mi accompagna in cucina a fare il caffè apre il frigorifero e si mette a sbraitare aggio finito ‘o latte e in men che non si dica mi abbassa i pantaloni e mi succhia il cazzo alla fine sborro e usa la sborra per macchiare il caffè io faccio finta di bere lui intanto dice di dover andare in bagno allora io ne aprofitto per scappare da quel momento non vedo più questo mio amico
X Diocan:
travia, dioboja, travia. Falle vedere come vivono le persone NORMALI, che tipo di rapporti intrattengono, come fanno a divertirsi (ma senza esagerare, falle vedere cose semplici, se le fai vedere il degenero subito pensa di esser finita in un girone infernale, e si chiude ancora più di prima). Magari così si dà una svegliata, e se anche non è pronta per l’università , magari le si sblocca qualcosa nella testa e comincia a vivere come un essere umano.
Questo la potrebbe far svegliare, magari inizia a ragionare con la sua testa (ussignur!) e schioda da casa.
E magari ci scappa la chiavata, che non è certo da disprezzare.
Storia vera: ” […] Finita la tarantella con l’auto a noleggio decido che prima di cagarmi il cazzo all’imbarco è ora di colazione. Entro in un bar e mi accoglie l’afrore tipico del liquido di percolato, lo stesso liquido che inevitabilmente si deposita sul fondo del bidoncino dell’umido. Hanno appena lavato il pavimento. Nel locale si trovano 3 donne, una delle quali è una panzona che serve brioches e sfogliate, e un fagiano che fa i caffè mentre urla in lingua berbera che dovevano giocare i numeri, che lui lo aveva detto che era sicuro e uè uè. Due mosche (metà dicembre) svolazzano sulle brioches. Un avventore obeso in tuta si sventaglia la felpa piena di zucchero a velo con la mano mentre con l’altra s’ingozza come un’oca da fois gras. La tortellona mi chiede che voglio, caffè e sfogliata frolla, senza zucchero. Poscia, chiede il caffè al cazzone che ancora urla dei numeri e che infastidito risponde “eeee prima si mangia la sfoglia e poi il caffè”. Perché su queste regole sono svizzeri. Mentre mangio la frolla entra un terzo cliente a cui la quadrona farcisce al momento la brioches raccogliendo nutella da sudici barili di plastica. Si sporge, debordando la buzza sopra il piano e sopra gli utensili carichi di creme e facendo mostra, per via dei leggins, del cucchiaio della fregna. Mentre mangio, penso che comunque varrebbe la pena riempirgli quelle mele grasse pensando che quella patonza sia né più né meno morbida e calda come la sfogliata che sto mangiando. Il boscimane ancora urla mentre serve il caffé, che anche con tutte le sue cerimonie fa cagare. “
Come si chiama un purgante del genere?
Magari è dimagrito di qualche grammo…
Ragazzi, io vi voglio bene però, porca madonnaccia maledetta, siete produttivi quanto un impiegato comunale napoletano.
“ECCO LE VOSTRE ORATE SIGNORI. UNA A LEI, SIGNOR GERMANO… E UNA ALLA SIGNORINA. CHI ASSAGGIA LO CHARDONNAY?”
“LA SIGNORINA OVVIAMENTE”, REPLICO’ EZIO GERMANO.
“EZIO MICA VORRAI FARMI UBRIACARE GIA’ DA ADESSO?”
“NON PREOCCUPARTI, CHIARA, NON C’E’ BISOGNO. SI VEDE CHE SEI GIA’ COTTA DI ME.”
“AHAHAHAH, SE NE SEI CONVINTO!”
CHIARA SORRIDEVA, ED ERA UN SORRISO DA RAGAZZA NORMALE. PER QUESTO PIACEVA A GERMANO: ERA UN SORRISO CHE NON NASCONDEVA NIENTE, CHE LASCIAVA TRASPARIRE TUTTO. CI SI POTEVA LEGGERE LA MALINCONIA DI ESSERE CRESCIUTA DA UNA MADRE SOLA NELLA PALUDE DELLA PERIFERIA ROMANA, I TENTATIVI DI ANDARE AVANTI SGOMITANDO, SALTANDO DA UN LAVORO ALL’ALTRO, LE TANTE DELUSIONI, LA CONVINZIONE CHE, SE ERA ARRIVATA FIN LI’, VOLEVA DIRE CHE ERA ANCORA VIVA, ED ERA QUESTO CHE CONTAVA.
E TUTTO CIO’ NON TOGLIEVA NULLA ALLA SUA BELLEZZA, ANZI, CONFERIVA AD ESSA UN ALONE DI AUTENTICITA’, COME IL GRAFFIO SULLA BICICLETTA CHE USAVI DA BAMBINO, O LA COPERTINA ROVINATA DI QUEL VECCHIO LIBRO…
E POI GERMANO SENTI’, DAL PROFONDO DELLA SUA PELVI, UN BISBIGLIO MALIGNO:
“Pensi che sarai felice con lei? Non sarai mai felice con questa puttana! Uccidila Ezio, uccidila e nutrimi della sua forza vitale!!!”
ERA LA VOCE DELLA SUA FERALE PROSTATA.
“STAI ZITTA CAZZO!”
CHIARA AGGROTTO’ LE SOPRACCIGLIA: “EZIO?”
“NO, NIENTE. STAVO PENSANDO A VOCE ALTA.”
“Va bene Ezio te lo concedo: ha delle belle puppe, motivo in più per metterle nella nostra collezione insieme alle altre. Ma non venirmi a dire che ti piace la sua personalità , dai cazzo. Non farti venire strane idee: le donne da sposare non esistono.”
“BASTA!!!”, GRIDO’ GERMANO ALZANDOSI IN PIEDI, “NON POSSO LASCIARE CHE LA MIA VITA SIA CONTROLLATA DA UNA MALVAGIA PROSTATA!!!!!!”
TUTTI I CLIENTI DEL RISTORANTE SI GIRARONO ALLIBITI VERSO GERMANO.
“LA CAPISCO, DOTTOR GERMANO”, ESCLAMO’ UN ANZIANO SIGNORE.
CHIARA SI ALZO’ E GLI APPOGGIO’ AFFETTUOSAMENTE UNA MANO SULLA SPALLA: “EZIO STAI BENE? VUOI ANDARE A CASA?”
“SI’… SI’ FORSE E’ MEGLIO. CHIEDO IL CONTO.”
UNA VOLTA IN MACCHINA, GERMANO PARVE CALMARSI.
“ALLORA, ANDIAMO DA TE?”, CHIESE CHIARA.
“CREDEVO DI DOVERTI RIACCOMPAGNARE A CASA.”
“NON PRENDERMI PER UNA FACILE, EZIO, MA PENSAVO PROPRIO DI VENIRE DA TE.”
“Ooooh, fantastico! Questa ce la squartiamo già stasera! Ezio sei pronto ad affogare la tua minchia nel sangue?!? Io non vedo l’ora!!!”
“CHIARA, SEI PROPRIO SICURA? COMINCIA AD ESSERE UN PO’ TARDI.”
CHIARA GLI SCHIOCCO’ UN BACIO SULLA GUANCIA: “SEI COSI’ TENERO CON QUESTE TUE PREMURE, EZIO. MA NON HO 15 ANNI: SO BADARE A ME STESSA E SONO RESPONSABILE DELLE MIE DECISIONI.”
“Ezio questa zoccolona mi sta facendo venire l’acquolina in bocca. Non vedo l’ora di sentire che rumore fanno le sue budella quando ci picchi contro la nerchia. Secondo me fanno ciaf ciaf. Eh? Cosa dici Ezio? Secondo te che rumore fanno?”
GERMANO SI MORSE LE LABBRA: “VA BENE. ANDIAMO DA ME.”
POCHI MINUTI DOPO ERANO SUL PORTONE DI CASA DI GERMANO.
LUI LE APRI’ LA PORTA E LA ACCOMPAGNO’ DENTRO.
ERA BUIO. CHIARA SENTI’ LA PORTA CHIUDERSI DIETRO DI LEI, E IL RUMORE DI UN INTERRUTTORE. POI LA STANZA SI ILLUMINO’.
CHIARA STRABUZZO’ GLI OCCHI.
SU TUTTI I LATI, APPESI ALLE PARETI C’ERANO COLTELLI DI OGNI DIMENSIONE, ASCE, TENAGLIE E ALTRI STRUMENTI CHE CHIARA NON RIUSCI’ A IDENTIFICARE.
.
“EZIO MA E’ TUA QUESTA ROBA?”
“SI’ E’ MIA.”
“Veramente sarebbe mia, ma la faccio usare a Ezio per queste occasioni speciali.”
“E COSA CI FAI?”
EZIO SORRISE, MENTRE LA PROSTATA SI METTEVA A CANTARE UN VECCHIO MOTIVETTO:
“Parlami di te bella signora, parlami di te, che non ho paura…”
http://www.laydo.eu/?p=3038#comment-6820
Puttana della Madonna questo non è essere fermi al 1970, ma al 1945! Altro che università , credo che la figliola non sarebbe pronta nemmeno per lavorare in un ufficio. Prima andrebbe svezzata al viver moderno, il che include anche il farle scoprire l’elettricità .
2023 le influencer stranosessuali infestano il pianeta. il paradigma donna / promiscuità sessuale ha invaso le tavole di tutti i ristoranti sushi, ove è possibile degustare sashimi depositato sul corpo di una consenziente estranea, felice di potersi ritenere liberamente un oggetto, ma ‘ehi! devo ritenerlo io non tu! senno’ non vale e peccheresti di egoismo patriarcale che ritiene la donna solo come oggetto!’.
Orde di uominə dalla non meglio precisata estrazione sociale, esaltano chi ha il wallet virtuale più gonfio, perché in fondo chi disprezza questi arrampicatori sociali da tastiera ( arricchiti grazie al fumo virtuale dei followers), sono solo frustrati, gente invidiosa di questi fantocci queer ecofriendly com strane pulsioni animaliste sessuali.
Il Puritanesimo 3.0 forse sta rallentando la sua corsa, è probabile che la gggente si sia rotta il cazzo di ritenersi offesa alla prima scoreggia emessa da un qualsiasi neoproletario complottista, che ritiene la terra sia piatta e l’uomo non sia mai stato sulla Luna.
Ho voglia di mangiare una crostata di formaggio, la ungeró con un po’ di loia delle mie unghie, e qualche pelo irto del pube sudato. Buon appetito Laydi, scrivete di più, qua sta andando tutto a puttane, tranne io che ho finito i BitCoins a causa della mia dipendenza da feticismo dei piedi delle soubrette.
Cerignola, ridente paesino pugliese nella valle dell’Ofanto, ove persino il diavolo ha fatto armi e bagagli, viveva Arnaldo, uno studente con il cervello tanto attivo quanto un blocco di cemento. Ma c’era una cosa che faceva battere il suo cuore come un martello pneumatico: i piedi femminili. E non parlo di un amore qualsiasi. Arnaldo era un feticista spinto, un maniaco con una passione per i piedi che rasentava la follia.
Arnaldo aveva una routine quotidiana di merda: si alzava, andava a scuola, e passava il tempo ad ammirare i piedi delle sue compagne e insegnanti con uno sguardo che avrebbe fatto arrossire anche il più pervertito dei porno attori. Ma era quando entrò in aula la signora De Santis, una professoressa di matematica, che il suo mondo di depravazione raggiunse nuove vette di malattia.
La De Santis, una donna con tette da porno e gambe che sembravano scolpite nel marmo, aveva i piedi che sembravano fatti apposta per scatenare l’inferno. Arnaldo si sentì colto da un’erezione così forte che avrebbe potuto sfondare il pavimento. Ogni lezione era una tortura per lui, non perché non capisse un cazzo di matematica, ma perché non riusciva a staccare gli occhi da quei piedi divini.
Ogni giorno, Arnaldo si ritrovava a immaginare di leccare quei piedi come un cane famelico. Il suo desiderio era diventato una fottuta ossessione. Le ore passate in classe sembravano eterne, come se ogni minuto fosse un inferno di peccato e tentazione.
Una notte, con la testa piena di fantasie sfrenate e il cazzo duro come una mazza da baseball, Arnaldo decise di passare all’azione. Sfruttando una assemblea scolastica come copertura, si infiltrò nella scuola. Il suo obiettivo: lo spogliatoio delle professoresse. Là , i sandali della De Santis erano come una reliquia sacra per lui, e Arnaldo era pronto a rischiare tutto per un assaggio della sua dannazione.
Entrò nello spogliatoio con il cuore che gli martellava come un tamburo infernale. Quando vide i sandali, l’ebbrezza di perversione lo travolse. Li afferrò con mani tremanti, quasi pregando per una visione divina. Li annusò e sentì l’odore di sudore e pelle, un odore che lo fece gemere di piacere. E senza pensarci due volte, iniziò a leccare la suola con una devozione che avrebbe scioccato persino il peggior feticista di tutti i tempi.
Ma il destino, quel figlio di puttana, non era dalla sua parte. Mentre Arnaldo si perdeva nella sua follia, la porta dello spogliatoio si aprì con un boato. La De Santis, con la faccia che sembrava un misto di shock e disgusto, lo osservava. “Che cazzo stai facendo, stronzo depravato?” urlò, e quelle parole colpirono Arnaldo come un macigno.
Arnaldo, con la lingua ancora attaccata alla suola e il volto dipinto di merda, tentò di balbettare una scusa, ma il suo cervello era andato in corto circuito. La De Santis, furiosa come un demonio, prese uno dei sandali e glielo tirò in faccia con tutta la forza. “Fatti fottere, schifoso pervertito! E portati via questa merda!”
Con il viso rovinato e il cuore in frantumi, Arnaldo scappò dallo spogliatoio, lasciando dietro di sé urla e risate isteriche.
Arnaldo oggi non è più tra noi, a causa di un incidente nel suo viaggio a Puket, la professoressa non portó troppo rancore al ragazzo dopo la vicenda, anzi ad oggi si dice faccia scatti osè per arrotondare, quindi il povero Arnaldino in realtà è stato solo il più fortunato dei suoi followers.