…poi che se’ sì grande, che per mare e per terra batti l’ali, e per lo ‘
Dubito che il buon Dante immaginasse dopo più di 5 secoli dalla sua morte qualcuno gli avrebbe dedicato una statua nella sua Firenze. Ma soprattutto che, dopo un altro secolo e mezzo, la sua statua avrebbe funto da pisciatoio e nascondiglio per le scorte di droga di mori spacciatori venuti dal moscoso caldo.
Arrivando da Corso Tintori, sbuco in piazza Santa Croce cercando di isolare in suo splendore dalla crosta di letame che la ricopre. La piazza che nel 1530 vide i fiorentini giocare una storica partita di calcio col precipuo scopo di irridere le truppe imperiali che assediavano la città, è oggi invasa dalle scorie di questa epoca nefasta.
Sulle scale davanti alla chiesa, ragazzini urlanti, vestiti come scarti sociali di Harlem, si atteggiano con pose scimmiesce a duri del ghetto, imbenzinandosi di alcol da due soldi comprato al minimarket pakistano più vicino. Vedo bottiglie vuote di birra e vodka dai nomi mai sentiti prima, presumibilmente edibili quanto lo sverniacitore per le porte. Stanotte rigozzeranno l’anima e domani piangeranno per i postumi della merda che hanno ingurgitato e bestemmieranno il Cristo e giureranno di non farlo mai più. Ma lo rifaranno dopodomani.
Mi chiedo che razza di degenerata deriva culturale possa spingere gli autoctoni del privilegiato ed evoluto primo mondo ad atteggiarsi, nelle pose ridicole, nell’abbigliamento cafone e nei comportamenti pseudoaggressivi, come i loro compari africani dalla tonalità variabile, ritenendo di dover prendere ad esempio qualcuno che viene da zone e culture ferme addietro di qualche secolo.
Il perimetro della piazza, delimitato da panchine in pietra è costellato da coppiette perseguitate dai bangla venditori di rose, gruppi di studenti stranieri in cerca di guai, magrebini pronti a procurarglieli, guitti e grulli.
Supero la fontana e mi avvicino al distributore di sigarette sull’angolo con Borgo dei Greci. Immancabili le solite facce dei soliti spacciatori africani che stazionano sul posto. Sono sempre loro, sempre lì, ad abbordare i passanti ripetendo il solito mantra hashish? coca? vuoi altro? Sempre lì, indisturbati, ormai non si fanno più problemi nemmeno a picchiare e rapinare i vari mentecatti che decidono di seguirli nei vicoli retrostanti. Uno mi guarda, accenna ad approcciarmi con la solita filastrocca, poi mi riconosce e lascia perdere.
Prendo le sigarette promettendomi che, finito questo pacchetto, smetterò e getto lo sguardo a sinistra, lungo via de’ Benci. La movida fiorentina sta turbinando in tutta la sua eterogenea essenza. Gruppi di maschi beta morti di figa sciamano in gruppo, percorrendo inconcludenti vasche su e giù, o sostando sul marciapiede con un drink in mano, in attesa di individuare la preda da circondare e attaccare con maldestri approcci di gruppo. L’esperienza insegna che non si va mai a rimorchiare in gruppo: si va al massimo in due. Ma, quando sei uno sfigato e lo sai, sai anche che ti aspettano reiterati due di picche e andare in gruppo ti permette di condividerli: meglio fallire in gruppo e scaricarsi la colpa a vicenda.
Mi accendo una sigaretta e incrocio lo sguardo di una biondina che mi sono scopato qualche giorno fa. Conosciuta la sera stessa in un locale nella zona, la santa ragazza ha passato un’ora a parlarmi di quanto fosse disgustata dalle donne impegnate che poi se la spassano con chi capita, prima di chiedermi di accompagnarla a casa perchè aveva bevuto troppo e finire a mordere il cuscino ripiegata sul divano. E’ col suo uomo e finge di non vedermi.
Mi avvio su via Verdi. Incrocio il classico gruppo di americane assortite come da pacchetto standard: 40% di ributtanti grassone in infradito, 50% di variabilmente trombabili e un 10% di fica seria. Si tratta di un funzionale rapporto di simbiosi, paragonabile all’uccello che ripulisce i denti del coccodrillo. Le gnocche attirano i maschi in gran numero che, una volta scartati passeranno al/ai livello/i inferiore/i, in misura funzionale ai loro coefficienti α, β, γ, ecc… Quelle fiche non si sentono minacciate e le cesse raccattano gli avanzi. Un tacito gioco delle parti, amaro ma onesto e funzionale.
La notte fiorentina è una puttana. Una puttana bellissima che non sempre è disponibile, che ti dice il prezzo solo alla fine e che ti lascia sempre un po’ di amaro in bocca. Ma da cui non puoi fare a meno di tornare.
Non ho voglia di tuffarmi subito nel dissoluto carnaio. Ho voglia di pace, di una chiacchierata tranquilla e di una bevuta tra amici. Faccio dietrofront e viro al ****, un piccolo club nei pressi di Piazza Signoria: il tipo di locale in cui vai nella fascia oraria 2:00/4:00, quando i locali normali chiudono, ma ancora è troppo presto per i clubbacci più marci. E’ ovviamente semivuoto, ma vedo al bancone esattamente le facce che aspettavo di trovare: Bercio (storico compagno di scorribande), Franz (metallaro dall’aspetto vichingo) e il barman Sly, sempre intento a sperimentare nuovi ricercati cocktail, assolutamente sprecati in un posto dove il grosso della clientela consiste in giovani stranieri che arrivano già sbronzi e che, anche da sobri, farebbero fatica a distinguere un Talisker da una pisciata di ciuco.
Bercio: Ciao bucaiolo! Già in giro a quest’ora?
Io: Chi c’è in console stasera? Mica dovremmo sorbirci questa merda raggaeton, vero?
Sly: Oh, buonasera eh… Non hai ancora un bicchiere in mano e già rompi già i coglioni?
Io: Ok, allora muoviti a darmi una birra, così poi mi lamento a norma.
Sly: In fronte te la darei, la birra…
ore 1:00 circa
Il locale si sta lentamente riempiendo e la pista è già viva di gente che balla.
Io e il buon Franz abbiamo rimorchiato due inglesi decisamente fighe: lui una diafana roscia dall’aria zozza, tipo Liz Vicious, e io una prorompente bionda di cui non ricordo il nome ma di cui ricordo molto bene due tette che mettono a dura prova i bottoni della camicetta.
La tipa è un bel passerone tra i 25 e i 30 anni, stretta in una minigonna nera, dalle gambe lunghe in fondo alle quali spiccano due piedi perfetti calzati in un paio di alti sandali da pornostar. E’ chiaramente su di giri e allupata come un ergastolano. Cerca di mantenere un contegno facendo cordiale conversazione ma è evidente che abbia voglia di saltarmi sul cazzo come farebbe un falso invalido di Casoria su un posto vacante alla provincia.
Continuiamo a bere e chiacchierare, seduti ad un tavolino del piano di sopra, finchè non restiamo a secco. “Vado a prendere il secondo giro” dico prima di scendere e andare al banco.
“Sly, mi fai due chiare, un gintonic e un daiquiri?”
“Arrivano. Oh, io te lo dico… se vi ribecco a scopare sui divanetti del piano di sopra, vi butto fuori a pedate e vi bandisco fino alla fine dei tempi.”
“Tranquillo… Non sono ancora abbastanza ubriaco da sdraiarmi su quella colonia di ceppi batterici non ancora scoperti da scienza medica.”
“Oh, ma hai sentito di D.? Pare si sia cacato addosso sul palco del ******** mentre suonava. Ma proprio a spruzzo eh!”
“Eh… sì, brutta st…”
Mi sento afferrare.
La biondona mi agguanta per un braccio e senza troppi complimenti mi trascina in pista. Inizia a ballare, abbozzando qualche passo di danza poco convinto, giusto per due minuti stentati, prima di sbattermi al muro e infilarmi la lingua in bocca.
Bé… signori, tette e culo di marmo, disegnati col compasso. Nonostante le curve ben pronunciate, la signorina è magra, bella soda e le generose forme si fanno beffe della forza di gravità. Due lunghe gambe nude sbucano da sotto la gonna e, unite ai tacchi, la portano quasi alla mia altezza. Le mie mani scorrono un po’ ovunque e la sento mugolare come una gatta in calore.
Due metri più in là si apre la porta della toilette ed escono due ragazze. La bionda non perde l’attimo, mi afferra la mano e scatta in bagno trascinandomi con sé. Entriamo in uno scomparto cesso e chiudiamo la porta.
Il cesso è ovviamente lurido e appestato, ma d’altronde non devo certo spogliarmi e sdraiarmi.
La afferro per la natiche, la alzo e la sbatto a gambe larghe su uno sgangherato mobiletto che scricchiola in modo non troppo preoccupante. Mentre le mie dita la massaggiano da sopra il perizoma abbondantemente umido lei inizia maldestramente a slacciarmi i pantaloni, con la foga di chi cerca di aprire il flacone dell’antidoto a un veleno che lo sta uccidendo.
Questione di secondi, mi spinge indietro e mi ritrovo in piedi, spalle al muro, con la bionda chinata di fronte a me che si produce in un rispettabile pompino, accucciata tipo squat sugli alti tacchi. La tipa ci sa fare: lo sguardo giusto rivolto periodicamente in su, le variazioni di ritmo, il gioco lingua e di labbra dall’alto al basso ma anche nelle zone attigue, il sapiente uso delle mani che indugiano su scroto e perineo, ecc… Insomma tutte quelle cose che distinguono un buon pompino da una triste e banale sega con la bocca. Tutto sembra procedere per il meglio, quando all’improvviso tutto va in merda.
La bionda, evidentemente ostacolata dai tacchi, si alza, si appoggia al mobiletto, si toglie i sandali e si inginocchia…
…appoggiando i bellissimi piedi e le ginocchia sul lercio e immondo pavimento piscioso del bagno.
Il mio cazzo passa in mezzo secondo dalla consistenza del titanio a quella di un polpo morto sbattuto sugli scogli.
Lei me lo riagguanta e si blocca. Mi guarda con aria interrogativa.
Io sono morto dentro. Senza dire niente, rapidamente mi rialzo i pantaloni, apro la porta ed esco ancora intento a chiudermi la cintura, lasciandola prima sbigottita e poi immediatamente incazzata sotto gli occhi divertiti e impietosi della gente in fila per il bagno che la osserva inginocchiata.
La sento urlare insulti.
Che schifo, diocane!
Torno al banco e ordino da bere. La gente mi dà di gomito, mi fa brofist ridacchiando e altri gesti di complici congratulazioni e nessuno ovviamente crede alla mia storia. Nessuno tranne Bercio, che sghignazza e mi dà del frocio.
ore 2:00 circa
Franz se n’è andato con la roscia. La biondona se n’è andata via da sola, ulandomi ogni genere di offesa. Io e Bercio siamo intenti a bere con alcune ragazze francesi.
Tre ragazze sono qui in vacanza con un gruppo sportivo, mentre la quarta, l’unica di cui ricordi il nome, si chiama Yvonne ed è una loro amica che studia a Firenze. Yvonne è all’aspetto la più acqua e sapone delle quattro: mentre loro sono vestite e truccate da sera, mettendo ben in evidenza le loro bontà, lei è vestita in gonna sopra il ginocchio, anfibi e maglietta, con un trucco leggero e i capelli appuntati in modo sbrigativo. E’ comunque molto carina ma già sbronza, logorroica e petulante.
Il tavolo è allegro e disteso, per quanto già caldo. E’ ovvio e palpabile dove si voglia andare a parare, ma senza fretta e senza tralasciare il fatto che una chiacchierata con i giusti sguardi e i giusti sorrisi possa scaldare il sangue quanto se non più di una una mise da zozza. La cosa più intrigante sta nel fatto che loro siano quattro, noi siamo due e che il passare del tempo e dei bicchieri renda sempre più chiaro che le belle figliuole si stiano contendendo il degno prosieguo della serata con noi.
Tutto sembra scorrere per il meglio mentre invisibili pezzi si muovono sulla scacchiera: noi fingiamo di non accorgerci di cosa sta succedendo, loro si accorgono che ce ne siamo accorti ma proseguono quel malizioso quanto eccitante gioco, il tavolo si scalda sempre più e il momento dello scacco matto si avvicina.
A un certo punto si scambiano qualche parola in francese, una di loro si alza e dice qualcosa a Yvonne, che si alza pure lei. “We’re going to have a cigarette outside. See you later…” e scendono le scale. La partita è finita ed è l’ora di premiare le vincitrici.
Dieci minuti dopo siamo sui divanetti in un turbinio di lingue e mani. A me è toccata una bella moretta coi riccioli, con poche tette ma un bel fisico tirato da ore in palestra, infilata in un tubino bianco, corto e scollato, senza reggiseno, il che mette bene in evidenza due turgidi capezzoli che puntano verso l’empireo.
Da come si muove e mugola, promette ancora meglio della bionda. Si tira giù la scollatura da una parte e mi porta la faccia su una tetta. Sto cominciando a contenermi a stento e quasi mi scoppia la patta dei pantaloni quanto, ansimando e con un pesante accento francese, mi sussurra all’orecchio “If you wanna see something more, take me to my home!”.
“I was just wondering how long it would take you to ask me” le rispondo ostentando un fiero quanto poco credibile contegno, pregustando la nottata.
Appena ci alziamo dal divanetto, come a seguito di un chiaro segnale di via, anche l’altra si alza dal divanetto sui cui era avvinghiata a Bercio e lo tira a sé.
Evidentemente il segnale di via è stato recepito anche da qualcun’altro. Tipo per esempio quella che qui a Firenze viene confidenzialmente chiamata LA MADONNA MAIALA!
Facciamo appena in tempo ad uscire per strada e fare pochi metri che le altre due ci vengono incontro con aria concitata, la loro compagna di vacanze dice loro qualcosa e parlano per qualche secondo in francese in modo agitato e preoccupato. Non parlo il francese ma ci spiegano sbrigativamente che una ragazza del loro gruppo si è sentita male, è in ospedale e loro devono andare.
Ora, tutto si è svolto in maniera talmente veloce e inaspettata che nemmeno ricordo di preciso cosa ci siamo detti e come ci siamo salutati. Ricordo solo che io e Bercio rientriamo nel locale e che, per qualche motivo che non saprei spiegare, la brava Yvonne rimane con noi. E sbronza fradicia, balla, urla e ci si abbarbica passando dall’uno all’altro, strusciandosi e toccandoci ovunque senza ritegno.
Noi ci guardiamo in faccia, ci capiamo al volo come solo amici di lunga data possono fare, prendiamo l’ennesima birra, risaliamo al piano di sopra, sfidiamo un gruppo di tedeschi al calcino e improvvisiamo un torneo con l’accalorato tifo di Yvonne che non ci molla un attimo.
ore 4:30
Il locale è chiuso, la massa è sciamata fuori cacciata a male parole e all’interno restano solo gli amici e le loro eventuali conquiste. La nostra cara Yvonne si è guadagnata la permamenza attaccandosi a noi e finendo quindi ignorata dal buttafuori.
Sly: Ragazzi, quella ve la portate via voi eh?
Io: E che ce ne facciamo?
Sly: Quello che ci fate con tutte le fiche che negli anni vi ho visto portar via di qui.
Io: Naaa, è troppo sbronza per farci qualunque cosa. Mica voglio scoparmi una sul filo del coma etilico.
Bercio: Sicuro? Non giurerei che ti sia sempre attenuto a questo responsabile e giudizioso codice morale.
Io: Nemmeno io ma, se non mi ricordo qualcosa che ho fatto da ubriaco, non è mai successo.
Sly: Intrigante teoria, però portatemela via. Non voglio che qualcuno di questi vecchi borghesi bigotti del vicinato se la ritrovi domattina collassata nel vomito sullo scalino di casa.
Io: E che cazzo siamo? I tutori del decoro del quartiere?
Sly: No, voi due degenerati siete l’esatto opposto del decoro del quartiere. Però di certo non vorrete che il locale abbia problemi. Quindi adesso prendete questa derelitta e me la portate fuori dai coglioni.
Usciamo dal locale, raggiungiamo la macchina di Bercio e partiamo.
E qui inizia la parte difficile. Perché, con tutte le migliori intenzioni, siamo sbronzi e dobbiamo riportare a casa una tipa sbronzissima e fuori di testa che non sa spiegarci dove dobbiamo portarla e che allunga le mani di continuo, illustrandoci con accento francese e con dovizia di particolari quanto abbia voglia di far la puttana e picconando senza sosta il nostro già vacillante senso di responsabilità. Immagino possiate comprendere la difficoltà di tenere a bada un cazzo che per tutta la sera è stato solleticato e illuso senza poi ricevere alcuna soddisfazione.
Giriamo per almeno tre quarti d’ora, seguendo le caotiche indicazioni di Yvonne che, seduta dietro, ride, si spoglia mezza nuda e si protende in avanti per toccarci e baciarci.
“Ma porcoddio!” urla Bercio esasperato, “Vai dietro e tieni buona questa cacacazzi, prima che la scarichi ai primi sabbianegri che trovo!”
Si ferma e vado dietro. Il che rende tutto più difficile.
Perché lei lo interpreta come un via libera.
E il mio cazzo pure.
“Ma che cazzo fai? Ti ho mandato dietro per tenerla a bada, non per trombartela mentre io guido!” urla Bercio inchiodando in mezzo alla strada deserta.
“Bè, ha smesso di disturbarti, no?” gli rispondo ridacchiando mentre lei, a cavalcioni su di me, mi sta slacciando i pantaloni.
“L’unico uso che questa stronza deve fare adesso della bocca è dirci dove portarla!”
Mentre Bercio inveisce e io cerco con poca convinzione di arginare gli assalti di Yvonne, si affianca una macchina. Una macchina blu scura. Con una striscia rossa sulla fiancata.
“Tutto bene qui?” chi chiede un carabiniere al finestrino, sbarrando immediatamente gli occhi di fronte alla scena, mentre Bercio soffoca una bestemmia fra i denti.
“Eh, sì… Sa… Io e la mia amica qui abbiamo bevuto un po’ troppo e non ce la sentivamo di guidare. Ci accompagna lui a casa.”
“A casa dove?”
“Eh… Questa è una buona domanda…”
“Fa lo spiritoso?” chiede l’altro agente che nel frattempo era sceso dall’auto.
“No, guardi, dice sul serio.” interviene Bercio, ostentando sobrietà, compostezza e responsabilità. “La ragazza è una studentessa straniera e non ricorda il nome della via.”
“Signorina…” chiede il carabiniere affacciandosi “Va tutto bene? Ha bisogno di auto?”
“Noooo… voglio stare col mio amico!” grida lei ridendo e stringendomi la testa al petto.
L’agente ci squadra arcigno per qualche secondo.
“Faccia rivestire la sua amica e si tolga dalla strada” dice secco. Poi risale sulla volante e ripartono.
“Ecco, porcoddio!” esclama Bercio. “Adesso non possiamo nemmeno mollarla per strada! Di sicuro si sono presi la targa. Se le succede qualcosa, poi ci vengono a ricercare!”
Ricominciamo a girare seguendo le confusionarie indicazioni di una lievemente ricomposta Yvonne quando, dopo un paio di curve, “Ecco casa mia!” trilla contenta, indicando un portone.
Bercio fa appena in tempo a fermarsi che lei salta giù dalla macchina, mezza nuda e si mette a urlare e ballare. E’ il cuore della notte, siamo in un borghesissimo quartiere residenziale e lei urla come una pazza in mezzo alla strada, con la gonna abbassata e le tette di fuori.
“Ma che cazzo! Rivesti quella cretina!”
“E certo, come no? Sarà facile…”
La inseguo mentre salta qua e là, la afferro da dietro, la tiro a me per bloccarla, la spingo al muro e le afferro la gonna per tirarla su. Lei urla e si dimena.
“Ma no così, coglione! Se si affaccia qualcuno, sembra uno stupro!”
“E allora vieni a rivestirla te, questa dannata!”
Alla fine la afferriamo in due, la trasciniamo al portone e lei suona un campanello. Più volte. Dopo svariate scampanellate risponde una voce femminile. Lei farfuglia qualcosa e le aprono il portone. Noi vorremmo lasciala nell’ingresso, ma lei insiste che non ce la fa a salire da sola al piano e vuole essere accompagnata.
La scortiamo fino al terzo o quarto piano e lei bussa rumorosamente col pugno. Una tipa grassoccia, con un pigiama da pinguino e la faccia da dormiveglia, apre svogliatamente la porta. Come ci vede, caccia un urlo, si fionda in una stanza e chiude la porta. Noi entriamo nell’ingresso, sorreggendo Yvonne che dondola e ride.
Si avvicina ad un altra stanza, entra, si getta sul letto e si addormenta immediatamente come un sasso.
Noi restiamo soli, in una casa di sconosciuti, al buio e nel silenzio.
“Bé, la nostra buona azione da bravi lupetti del cazzo l’abbiamo fatta. Andiamo?” dice Bercio.
“Dalla porta della cucina ho intravisto una macchina da caffè con le cialde.”
“E quindi?”
“Non ti va un caffè?”
“Bah, effettivamente ce lo meritiamo che ci offrano almeno un caffé, queste stronze!”
Ci facciamo un paio di caffè, ci sediamo al tavolo della cucina e ce lo sorseggiamo con calma, pace e relax.
Poi facciamo l’alba cercando di spiegare alla Polizia cosa facevamo in piena notte in casa di persone che non conosciamo e che non ci conoscono.
12 Commenti
Graditissimo ritorno ma si vede che siete invecchiati.
Che cazzo è tutta questa responsabilità?
Dio berva ci s’è fatta a uscire dal letargo
Che bello ricevere di nuovo la notifica dal sito. Mi ha dato più gioia del test covid positivo!
Fatemi capire, a Firenze si rimedia la figa così facilmente?
E’ per questo che non scrivete un cazzo da anni?
Maledetta la croce di quel cristaccio ebreo, sapete che c’è stata una pandemia, che siamo all’alba della terza guerra mondiale ma soprattutto Barbara D’Urso è stata estromessa con pieno
merito da quel circo di olgettine affamate di
mediaset, causa decesso del Re di Arcore? Bentornati luridi schizzi di sborra
Immagino già la sega cattiva fatta il giorno dopo.
Ripropongo questo testo, old but gold, che pare scritto apposta come degno prosieguo di questa lieta novella.
E nulla, porcoddio… ero in un locale in centro a bermi una birra da solo, dopo che i colleghi con cui dovevo uscire mi avevano dato buca.
Non so nemmeno io come, mi ritrovo ad attaccar bottone con due americane abbastanza sbronze.
Si vede lontano un miglio che una delle due è profondamente schifata da me, infatti mi considera a malapena e alla prima occasione (vedi tamarri griffati in zona) si stacca e si allontana.
Io mi ritrovo a parlare con questa biondina che mi parla di lei, è gentile, mi fa domande e scherza e ride con me.
Dopo un po’ la sua amica viene a dirle che se ne va e io mi sento morire dentro perchè penso che la mia la seguirà, ma… SORPRESA! Lei le dice “Rimango qui ancora un po’. Ci vediamo a casa.” e le dà le chiavi. L’altra mi dà uno sguardo digustato e se ne va.
Continuiamo a parlare e bere e io mi sento sciolto come non mai.
Ad un certo punto mi chiede di accompagnarla in bagno, perchè non si chiude la porta. L’accompagno e, quando esce (probabilmente grazie all’alcol) prendo coraggio e la bacio. Lei non mi respinge e ci ritroviamo sui divanetti a limonare duro via via a toccarci a vicenda.
Dopo un po’ (minuti che mi sono sembrati una vita) mi fa “Perchè non continuiamo a casa mia?”. Me ne esco dal locale con lei, impettito come il più figo dei pavoni da monta.
Lei era discretamente ubriaca e durante il tragitto ogni tanto si fermava per appoggiarsi e ogni volta ci riattaccavamo, limonando e ravanandoci a vicenda.
Quando arriviamo a casa sua ho il cazzo di vibranio e le palle gonfie come zampogne. Saliamo le scale, arriviamo alla porta e lei suona.
Apre la sua coinquilina e guarda lei ubriaca che ride. Poi guarda me con la stessa faccia con cui si guarderebbe del vomito sul marciapiede. Poi tira lei dentro e mi chiude la porta in faccia.
Io in silenzio sono tornato nell’ascensore e sono sceso al pianoterra. Arrivato a terra ci ho pensato un secondo, sono risalito sull’ascensore e sono tornato al loro piano.
Al buio e in silenzio mi sono tirato fuori il cazzo e, dopo una veloce sega, ho sburrato sulla loro porta.
Dopodichè me ne sono andato, porcando il Cristo in ogni lingua.
4 anni per un articolo tacci vostra…
Adesso voglio un aggiornamento sulle vicende di Pellizzaro
Mi siete mancati.
Mi unisco alle richieste di un nuovo capitolo di Pellizzaro.
Ma di Jacopo pogrom cosa ne è stato? E perché è morto proprio di overdose da Fentanil?
Neanche una spruzzata di merda in macchina?
Finale molto creativo.